A noi che siamo
tra il vecchio e il nuovo,
la sorte dona
queste ore liete;
e il passato impone
d’aver fiducia
a guardare avanti
e a guardare indietro.
A noi che siamo
tra il vecchio e il nuovo,
la sorte dona
queste ore liete;
e il passato impone
d’aver fiducia
a guardare avanti
e a guardare indietro.
Così vulnerabile e così sensibile
Subito si deteriora
Il fiore appena reciso.
Si svuota del suo essere
E perde il suo spirito.
Come perdo il mio
Travolto dai rimpianti
Che mi consumano inesorabili.
Non avendo più cure
Mi rifugio in sogni estatici.
L'aria fredda mi riempie di voluttà.
Una via di fuga
Dal malessere dei sentimenti vaghi,
Remore che rincorrono un'anima
Che desidera danzare felice.
Lacrime rosse si depositano infine
Sul fondo di un calice di amarezze.
La solidità della terra, monotona,
ci sembra debole illusione.
Vogliamo la grande illusione del mare,
moltiplicata nella sua sequela di pericoli.
Il mare è solo il mare, sprovvisto di legami,
si annulla e si ricompone,
per diventare dopo la pura ombra di se stesso
vinto da se medesimo. È il suo grande esercizio.
Non vuole trascinarmi come i miei avi di un tempo,
né condurmi pian piano,
come i miei padri, dai sereni occhi scuri.
Mi accetta solo convertita nella sua natura:
plastica, fluida, disponibile,
identica a lui, in costante soliloquio,
senza esigenze di principio e fine,
indipendente da terra e cielo.
La giornata è fredda, e scura, e cupa
Piove, e il vento non è mai stanco
La vite si aggrappa ancora al muro in rovina,
Ma ad ogni raffica le foglie morte cadono,
E i giorni sono scuri e cupi.
La mia vita è fredda e scura e cupa;
Piove, e il vento non è mai stanco;
I miei pensieri si aggrappano ancora al passato in rovina,
Ma le speranze della gioventù cadono fitte nell’esplosione,
E i giorni sono scuri e cupi.
Fermati, cuore triste! E smettila di lamentarti;
Dietro le nuvole il sole sta ancora splendendo
Il tuo destino è il destino comune di tutti
Nella vita di ognuno di noi deve cadere un po’ di pioggia.
Alcuni giorni devono essere scuri e cupi.
Come i bambini al sole, a mezzogiorno,
siedo al tuo sguardo, e tremano le anime
tra le felici palpebre, per l’inespressa,
intima, prodiga gioia. Vedi, nel dubbio
errai. E non rimpiango la colpa, ma
l’occasione che ci privò, anche per un
istante, della reciproca, benefica
presenza. Ah, tienimi vicino, proteggimi
tu, o amorevole colomba. E alle mie paure,
se tornassero, opponi sereno il forte cuore:
nella tua divina sicurezza trovino il nido
i miei pensieri, che, senza te vacillano
come implumi smarritisi nei cieli.
Fino alla stella ch’è sorta
la strada è tanto lunga,
che mille anni la luce
ha impiegato a percorrerla.
Forse da secoli s’è spenta
nelle azzurre lontananze,
e solo ora il suo raggio
rifulse agli occhi nostri.
L’immagine della stella ch’è morta
lenta sul cielo ascende.
Viveva quando non si vedeva,
oggi la vediamo ed è morta.
Così quando l’amor nostro
muor nella notte fonda,
la luce della spenta passione
ci accompagna ancora.
Dovremmo avere una terra di sole,
di sole sgargiante,
e una terra d’acqua fragrante
dove il tramonto è un morbido fazzoletto di seta
rosa e d’oro,
e non questa terra
dove la vita è fredda.
Dovremmo avere una terra d’alberi,
alti alberi folti,
piegati al peso di pappagalli ciarlieri
lucenti come il giorno,
e non questa terra dove gli’ uccelli son grigi.
Oh, dovremmo avere una terra di gioia,
d’amore e gioia e vino e canto,
e non questa terra dove la gioia è un errore.
Vecchio stolto faccendiere, sole dissennato,
perché così,
attraverso vetri e tende vieni a visitarci?
Le stagioni degli amanti devono volgere
ai tuoi movimenti?
Sfacciato dannatissimo pedante, va a strapazzare
gli scolari in ritardo, i garzoni inveleniti,
va a dire ai cacciatori: il Re vuole cavalcare,
chiama le formiche dei campi alle fatiche del raccolto,
immutabile l’amore non conosce climi e stagioni,
non giorni, mesi, e ore, del tempo solo i brandelli.
Perché pensi che i tuoi raggi
siano tanto potenti e venerandi?
Con un battito di ciglia potrei eclissarli,
obnubilarli, se non che non vorrei
non vedere lei tanto a lungo.
Se i suoi occhi non hanno accecato i tuoi,
guarda, e domani quando è tardi dimmi
se le Indie delle spezie e delle miniere
sono dove le lasciasti, o sono qui da me.
Chiedi dei Re che hai visto ieri,
ti sarà detto, che giacciono tutti qui in un letto.
Lei è tutti gli stati, io sono tutti i principi,
nient’altro esiste.
A paragone i principi non recitano che la nostra parte,
ogni onore è mimica, ogni ricchezza è alchimia.
Tu sei felice, oh sole, molto meno di noi,
in cui il mondo si è così contratto;
la tua età richiede agi, il tuo compito
è di scaldare il mondo – scaldaci, ed è fatto.
Splendi su noi e sarai dovunque,
questo letto è il tuo centro, queste pareti la tua sfera.
Ti guardo e il sole cresce
Presto ricoprirà la nostra giornata
Sveglia il cuore e colori in mente
Per dissipare le pene della notte
Ti guardo tutto è spoglio
Fuori le barche hanno poca acqua
Bisogna dire tutto con poche parole
Il mare è freddo senza amore
È l’inizio del mondo
Le onde culleranno il cielo
E tu vieni cullata dalle tue lenzuola
Tiri il sonno verso di te
Svegliati affinché io segua le tue tracce
Ho un corpo per attenderti per seguirti
Dalle porte dell’alba alle porte dell’ombra
Un corpo per passare la mia vita ad amarti
Un corpo per sognare al di fuori del tuo sonno.
Siediti qui, vicino al tuo amico seduto
e sistemati i capelli, l’aria ha un suono rotondo, oggi,
e tutto è luminoso, dietro di voi il mezzogiorno cresce
sul farsi dell’erba nella luce: è primavera
ma potrebbe essere l’estate a stringervi nell’obiettivo.
Ora che lui ti è accanto, mettigli sulla spalla una mano
e fa’ in modo che sia nata per questo momento,
che sia leggera, presente come il sole sui sassi,
ecco, non c’è più niente davanti a voi, adesso,
né cosa vi salverà, né cosa vi perderà
tieni solo lontana l’ombra di quello che è stato
non farla entrare negli occhi
e sorridi, prova a sorridere.
Oh notte, che tutto mi hai portato via
e ingoiata dentro di te senza lasciar traccia,
Dì la tua ultima parola,
ora che hai tolto la maschera dai miei occhi!
Tante anime morirono in te
tante pupille si chiusero in te,
solitarie, gettate nell'oscurità
succhiarono le tue tenebre e son ormai aride!
Eppur assetate guardano le tue calde infinità
i tuoi occhi - carni molli-
In loro si immerse il mondo e si spense.
Soltanto un uccellino sul tuo seno,
leva il suo piccolo capo, canta, canta
e tu resti in silenzio, ascoltando la sua melodia
È così pura questa
gioia fatta di luce e d’aria:
questa serenità ch’è d’ogni cosa intorno
a te, d’ogni pensiero entro di te:
quest’armonia dell’anima col punto
del tempo e con l’amore che il tempo guida.
Non più grano, né frutti ha ormai la terra
da offrire. Sta limpido l’Autunno
sul riposo dell’anno… Il fisso
azzurro, immemore
di tuoni e lampi, stende il suo gran velo
di pace sulle rosseggianti chiome
delle foreste. Quand’è falciata
la spiga, spoglia la pannocchia,
rosso il vin nei tini, e le dorate noci
chiaman l’abbacchio, e fuor del
riccio scoppia
la castagna, che importa la minaccia
dell’Inverno, alla terra?..
Trasparente luce
d’ottobre, al cui tepor nulla matura
perché già tutto maturò: chiarezza
che della terra fa cosa di cielo.
Ho nostalgia di una terra
in cui non sono mai stata,
dove tutti gli alberi e i fiori
mi conoscono,
dove non vado mai,
dove però le nuvole
si ricordano bene
di me,
straniera,
che non ha casa in cui piangere.
Vado
verso un’isola senza porto,
butto in mare le chiavi
già alla partenza.
Non arrivo da nessuna parte.
La mia tela è come una ragnatela al vento,
ma non si strappa.
E oltre l’orizzonte,
dove i grandi uccelli
asciugano le ali al sole
alla fine del volo,
c’è una terra
dove mi si deve accettare
senza passaporto,
con il permesso delle nuvole.
Sono più miti le mattine
e più scure diventano le noci
e le bacche hanno un viso più rotondo.
La rosa non è più nella città.
L'acero indossa una sciarpa più gaia.
La campagna una gonna scarlatta,
Ed anch'io, per non essere antiquata,
mi metterò un gioiello.
Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni
Sono un frutto
d’innumerevoli contrasti d’innesti
maturato in una serra
Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia.
E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre.
Grande mi è il dolore,
In confronto al piacere.
Ma di fronte al vero
È poco il mio danno.
Come chi abbia una gran fede
Ma lasci con pena questa vita misera,
Perché ancora non prova i piaceri celesti
Ma ricorda quelli che dovrà lasciare.
Succede a me che dall'amore mi stacco
Ma con dispiacere incontenibile.
Hai guance soffici.
CapelliL’acqua beve sé stessa
nella terra umida.Bevo la tua immagine, una pagina nuova della vita,
una pagina nuova della morte, il volto appare e scompare.
prima della poesia esci dal crepuscolo e ti iscriviLui aveva vissuto in una chiesa ma ora non più.
Lei lavorava in un bar e null’altro da fare.Nella stanza splende la luna.
Nulla è reale.
Ogni istante insondabile,
Il mondo un'eco colossale
Nel labirinto dei sensi.
In mano un berretto,
Il mio talismano.
Diciassette grammi di argento,
Puro simbolo.
Gufo, illuminami, apri gli occhi.
Animale che rappresenta l'Attica,
Soccorrimi!
Dove si sente parlare alle foglie che resistono
il viola del tempo inizia la vita.
Qualsiasi emozione perdura nella memoria
come un uccello che attraversa il cielo sollevando presagi.
Tutta la dolcezza segreta del tuo passato
attende un segno per distendersi.
E nel peggior momento si scopre che i
sussurri e le mani stanno dicendo basta
e che le decisioni volevano ritirarsi
verso un ponente del senso dove ancora
si ascolta parlare alle foglie che resistono a questi gesti
medievali, queste nozze arcaiche,
il lavoro d’investigazione
nelle viscere degli uccelli.
Arrivi e ci sono tutti e tutti
sono segni e una seduzione involontaria
o qualcosa che non so. Vieni con me.
Nessuno si ricorda delle nostre cattedrali?
di quei tronchi che sradicammo
in un paradiso punteggiato di noi?
della purezza e la pietà
dei segreti? C’è una solitudine
strana nell’essere antico, nel credere che ogni
gesto esprima più cose, che
sono i pianeti e gli spiriti della frutta
quelli che hanno seminato il tuo ventre,
ma occorre controllare; adesso
sì che dobbiamo stare da soli.
Se noi andiamo
per una strada d’alberi sconosciuti,
se il vento ci ricopre di petali rosati
– o fiches da roulette – ed uno scarabeoHo sognato tante volte, ma la realtà mi era ostile.
Ho insistito fino a forzare il destino,
ma il muro della vita mi cingeva col suo abbraccio muto.
Si sogna, e poi si sogna ancora, è il gioco del vivere.
Ormai non sogno più,
ho appeso la cetra sui campanili del passato
e vado incontro alla natura fredda dell’esistere.
Val la pena sognare per poi rimanere attoniti
davanti alle disarmonie del reale?
Si sogna, si dispera, si cerca…
Fino alla fine di questa erranza.
È un piccolo sorso di pace che alfine trionfa!
Come una foglia d’autunno
sopra una zattera di ramoscelli,Le parole,
minuscole paroleRicordo quando le sussurrai:
L'amore resterà solo un ricordo.Fu lungo il mio cammino fino a te,
la vita intera quasi ti cercaiSe sapremo arrenderci
all’esercito del rifiutoTieni stretto ciò che è buono,
anche se è un pugno di terra.Dove cadono le mie stelle?
Le guardo
Camminiamo nelle foreste del mondo
Nel suo cuore o nel suo margineDefinitivamente bello.este del mondo
Nel suo cuore o nel suo margineLa luce della mia città ha un setaccio
di ombre,Difficilmente lascia la patria
chi ha lì le sue radici.Dirò sempre: dove sono?
che strana terra è questaDa piccolo
misi le mani
nell’immaginazione.Da dove viene il tutto? Mai
la luce fu per me così accecante.Ti voglio e non sei qui. Mi soffermo
in questo giardino, a respirare il colore che è il pensieroVorresti essere una mela,
un albero,Cuore, cuore sconvolto da tormenti
che non hanno rimedio,Sono i fiocchi di neve decaduti a fare
da augurio ad una vita senza luce eNon sia mai ch'io ponga impedimenti
all'unione di anime fedeli; Amore non è AmoreCome la colomba che si lìscia l’ala,
tu inchini il capo su la tenera curvaSe vieni per restare, lei dice, non parlare.
Bastano pioggia e vento sopra le tegole,Spolverino di piume.
Gabbia d’uccelli fatta di bisbigli.L’uomo dice alla donna
t’amoMi richiama talvolta la tua voce,
e non so che cieli ed acque
mi si svegliano dentro:
una rete di sole che si smaglia
sui tuoi muri ch’erano a sera
un dondolio di lampade
dalle botteghe tarde
piene di vento e di tristezza.
Altro tempo: un telaio batteva nel cortile,
e s’udiva la notte un pianto
di cuccioli e di bambini.
Vicolo: una croce di case
che si chiamano piano,
e non sanno ch’è paura
di restare sole nel buio.
Poiché il messaggio si imbattè in un folletto,
poiché i precedenti fecero lo sgambetto alle attese,
poiché la tua Londra era ancora un caleidoscopio
di nomi e luoghi rimescolabili a ogni scossa,
aspettasti e ti sbagliavi. La corriera del Nord
arrivò, si svuotò, e io non c’ero.
Avesti un bell’insistere
e implorare l’autista, con probabili lacrime,
di farmi saltar fuori o ricordarsi d’avermi visto
mancare di un soffio la partenza. Non c’ero.
Le otto di sera: ero disperso
in qualche punto dell’Inghilterra. Tenesti a freno
la tua fiduciosa ispirazione
e non ti buttasti nel traffico che vorticava
intorno alla Victoria Station, con la certezza assoluta
di incrociarmi dove dovevo essere, per strada.
Io non ero per strada né lì né altrove. Ero seduto
placido al mio posto sul treno
che andava dondolando verso King’s Cross. Qualcuno,
più calmo di te, ebbe un suggerimento. E fu così che
quando scesi dal treno, pensando di trovarti
in qualche punto all’inizio del binario,
vidi quel maroso e quell’agitazione, una figura
che fendeva di petto la corrente dei passeggeri liberati,
poi il tuo viso liquefatto, gli occhi liquefatti
e le tue esclamazioni, le braccia agitate,
le lacrime sparse
come se fossi ritornato dai morti
contro ogni possibilità, contro
ogni negazione salvo la tua preghiera
ai tuoi dèi. Lì capii cosa significa
essere un miracolo. E dietro di te
il tuo allegro tassista, che rideva, come un piccolo dio,
nel vedere un’americana fare tanto l’americana,
nel vedere la tua folle corsa di bighe –
i tuoi singhiozzi, gli incitamenti, le suppliche
di far accadere ciò che avevi bisogno che accadesse
così completamente vittoriosa, grazie a lui.
Be’, fu una combinazione straordinaria
che il mio treno non arrivasse prima, molto prima,
che entrasse in stazione, in ritardo, nel momento esatto
in cui tu irrompevi sul marciapiede. Fu
naturale e miracoloso, e fu un presagio
che confermava tutto quanto
volevi confermato. E la tua immensa disperazione,
la corsa nel panico per Londra
e ora il tuo trionfo mi piovvero addosso
come un amore ingrandito quarantanove volte,
come il primo fragoroso rovescio che sommerge
la siccità di agosto,
quando l’intera terra spaccata sembra sussultare
e ogni foglia trema
e ogni cosa leva le braccia piangendo.
Quanto hai dato, donna:
secoli di lucePrima di separarsi, un caldo sorriso,
l’abbraccio in tralice dello sguardoQuanto vicini! Dal tuo occhio al mio
non il canto di un’anima!
Annodati sopra il vento
come uccelli ad uno stesso