La luce della mia città ha un setaccio
di ombre,come lavata nei naufragi
che la sollevarono sulla collina.
I noci convertiti in croci
e le vele maestre in ministeri,
uno splendore d’oro
nelle vetrine del tempo.
La pioggia torna a unire
rovine sull’acqua
di sussurri e ceneri
spostando sabbia.
Scende l’umidità come se entrasse
nei cinema un gelido puledro.
E si ascoltano voci nelle strade decrepite
e voci che rispondono
dalle piazze vuote.
Nei caffè s’intravede la nebbia.
Ha qualcosa della balena
quando bramisce contro le colline.
Di un galeone fantasma
che raggiungerà le vette
quando si alzerà la marea.
Sotto la città, scagliata con tutte
le sue luci in un incrocio di ossa
e di stelle. Aveva ragione quello che diceva,
“non perdere tempo a scoprire
la tua città, prima di tutto devi inventarla.”
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