O del trifauce cane e della notte
Orrida figlia, squallida Tristezza,
Lungi, lungi da noi; giù nelle grotte
D'Inferno statti, abbandonata e sola,
Tra forme spaventevoli e diverse,
Ove sospiri, pianti ed alti lai
Risuonano per l'aere
In cui raggio di Sol non entrò mai;
E in cui, solo tra 'l pianto,
S'ode talor di tristi augelli il canto,
Ivi tua stanza sia, d'ebani all'ombra,
Sotto orribili e bassi
Sporgenti in fuor scompaginati massi,
Che tale altrui fan tetto,
Qual le tue nere abbaruffatte chiome
Fanno al tuo tetro ed odioso aspetto.
Ma tu vieni o vaga e libera
Dea che in ciel sei detta Eufrosine,
E Allegria fra noi mortali,
Dolce antidoto de' mali.
Tu di due Grazie gemella,
Di cui fece un di beato
Delle Dee la Dea più bella
Bacco d'edra inghirlandato:
O di cui, com'altri cantano,
Fece lieto un giorno Zefiro
La vaghissima vermiglia
Di Titan gioconda figlia,
Che, mentr'ei spandea d'intorno
Di stagion vaga i tepori,
Trovò il seno a fare adorno
Ed il crin di vaghi fiori,
Tra viole e tra odorose
Fresche rose rugiadose;
Ed a lei con dolce ameno
Scherzo intorno raggirandosi,
Le lasciò fecondo il seno
Di te, vergin grazíosa,
Aitante e prosperosa.
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