incomprese, immutabili!
Tu, mentre noi ci dibattiamo in vincoli,
di luce in luce ascendi.
Tu, la cui vita è tutta di splendore!
E se dalle mie tenebre
devo tendere a te braccia nostalgiche
sorridi e non m’intendi.
Scrivo poesie per raccogliere ricordi sbiaditi
Quella sensazione privata è persa e vaga.
Ascolta l'anima inquieta come una nuvola,
libera il peso del dolore e della solitudine,
conduci una vita di grazia senza vergogna,
dai vita alle tue proprie aspirazioni.
Nella stanza vuota mi aggrappo a ricordi dolorosi,
un vicolo freddo così pietoso
in mezzo a questo cuore è un sogno.
L'amante perduto non è più qui.
Avendo lasciato indietro così tanto
tranne la tua prima e ultima debolezza
persistente
come un cuore dimenticato
come tua sola forza residua una lingua incerta
frammenti di patria sbiadita
(una patria di suoni, di parole afone) trefoli di storie
brandelli di sentimenti da un tessuto più grande
tu ancora immagini con quelle parole afone
che non si smorzano nel silenzio quel battito come un cuore
che cuce e strappa e ricuce
il vestito strappato che è la tua vita
È vero che non c’è abbastanza bellezza nel mondo.
È anche vero che non sono in grado di recuperarla.
Nemmeno candore, e qui potrei essere di qualche utilità.
Sono all’opera, anche se sono silenziosa.
La blanda miseria del mondo
ci lega da entrambe le parti,
un viale fiancheggiato da alberi;
noi siamo compagni qui, non parlando,
ognuno con i propri pensieri;
dietro gli alberi,
cancelli di ferro delle case private,
le stanze dalle imposte chiuse
in qualche modo deserte, abbandonate,
come se l’artista avesse
il dovere di creare speranza,
ma con cosa? cosa?
La parola stessa è falsa,
un dispositivo per confutare
la percezione.
All’incrocio, le luminarie delle feste.
Sono stata giovane qui.
Prendevo la metropolitana col mio libretto
come per difendermi
contro questo stesso mondo:
non sei sola,
diceva la poesia,
nel buio del tunnel.
Scrivo da questa fitta cortina di memorie,
questo sipario d’acqua che si osserva nel mare.
Non intendo rivelare né il raggio né la pioggia,
voglio solo stupirmi per le barche, le pietre,
e le orme dei passi nelle forme di zucchero.
Presto sarà la luce, disegno del crepuscolo,
ed io correrò tra pianure di cemento assassino,
ai piedi delle favelas, dei quartieri, dei villaggi,
ai piedi dei silenzi dove scorre il sangue.
Certo che respirai la brezza delle colline,
certo che mi estasiai tra le braccia del fiume,
certo che mi cullai accanto alle note
che spingevano tranquille l’amaca della siesta.
Ma mentre scrivo mi sfugge un ricordo
e non posso trattenere i raggi né la pioggia,
queste gocce dolenti che abbandonano il mio polso
per aprire il cammino sicuro che mi attende,
fonte di oscurità satura di silenzio
dove cullo la tua voce sognando la terra.