25 novembre 2016

Albio Tibullo - Da "Primo Libro delle Elegie"


Potessi finalmente vivere,
felice del poco che ho e non essere costretto
continuamente a viaggiare in terre lontane;
potessi evitare il sorgere della canicola estiva
all'ombra di un albero vicino a un rivolo d'acqua.

Che gioia ascoltare, 
coricato, i venti che infuriano e teneramente
stringersi al petto l'amata o, quando d'inverno
lo scirocco rovescia la sua pioggia gelida,
abbandonarsi al sonno mentre ti cullano le gocce.

Ora, ora è il tempo,
di darci senza pensieri all'amore,
finché non è vergogna infrangere le porte
e dolce è intrecciare litigi. In questo campo
io sono condottiero e soldato valente;

Voi, trombe e vessilli, sparite, via:
a chi ama l'avventura procurate ferite
e con queste la ricchezza. Io, spensierato,
lontano da ogni bene materiale,
riderò dei ricchi, riderò della fame.

Io, mia Delia, non inseguo la gloria:
pur di restare con te non m'importa
che mi chiamino incapace e indolente.
Voglio specchiarmi in te quando verrà la morte
e in fin di vita tenerti con la mano che s'abbandona.

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