Noi, come le foglie che genera il tempo fiorito
di primavera, quando crescono presto al sole,
simili a quelle per poco i fiori di giovinezza
godiamo, dagli dèi non sapendo né male
né bene: e ci sovrastano le arpie dal volto di tenebra
l’una reggendo il termine della vecchiezza greve,
l’altra quello di morte; e un attimo durano i frutti
di giovinezza, quanto brilla sul mondo il sole.
Ma quando sia trascorso il tempo a ciascuno assegnato,
subito allora è meglio morire anziché vivere.
Nasce una mèsse di mali nel cuore: talvolta rovina
la casa e sopraggiunge la triste povertà,
e c’è chi non ha figli e vive con questo rimpianto,
fino a quando discende sotto terra nell’Ade;
e c’è chi ha dentro un morbo che lo consuma: nessuno
c’è fra gli uomini, al quale Zeus non dia molti mali.
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