29 novembre 2019

Giorgos Seferis - Mycenae


Dammi le mani,
dammi le tue mani,
le mani.

Ho visto nella notte
il vertice aguzzo del monte,
la piana inondata laggiù dalla luce
d’una luna segreta,
girando il capo ho visto
la grotta dei macigni neri
e la mia vita tesa come corda,
inizio e fine
l’attimo supremo;
le mie mani.

Chi solleva i macigni cola a picco:
questi macigni alzai fin che potei
questi macigni amai fin che potei,
questi macigni, il mio destino.
Piagato dal mio suolo
e seviziato dalla mia camicia,
e condannato dalle mie divinità,
questi macigni.

So che non sanno;
eppure io che percorsi
tante volte la via
dall’omicida al morto
e dal morto alla pena
e dalla pena ad un altro omicidio,
palpeggiando
la porpora inesausta
in quella sera del ritorno

Le Erinni cominciarono a fischiare
nell’erba rada.

Ho visto serpi e vipere incrociate
in un viluppo sulla mala stirpe,
il nostro fato.

Voci sopra il macigno,
dal sonno,
più profonde qua
dove il mondo è oscuro,
memoria di travagli radicata nel ritmo
che percosse la terra con piedi
dimenticati.
Inabissati corpi,
alle radici d’un altro tempo,
nudi.
Occhi sbarrati,
sbarrati sopra un segno
che per quanto tu voglia non discerni:
l’anima
che combatte per farsi anima tua.

Neppure il silenzio è più tuo
qui dov’è fermo il giro delle macine.

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