17 novembre 2017

Enrico Thovez - Ottobre



Calpesto adagio le foglie stridule al passo: 
ho rimorso d'essere solo. 
Non penso soltanto a me quassù: 
sento che un bene inutile palpita per l'aria, 
e fugge per sempre.
Guardate! È un magico incendio. 

Il sole basso sul colle
traversa d'un oro languido le masse rosse dei boschi.
Ardono pallidamente; 

sembrano struggersi in fiamma nel cielo cerulo:
dicono qualcosa al cuore di tenero,
di grande. 

È forse il ricordo di un altro giorno d'autunno,
lontano, 

un altro tramonto languido d'oro, 
una fiamma,
e in fondo all'anima il lampo d'un indicibile amore.
Io salgo su per la ripida costa boscosa; 

mi pungo aprendo a forza i cespugli, 
affondo in mucchi di foglie,
mi volto ansante a guardare, 

salgo più alto, più alto...
Al vento freddo le foglie accartocciate sui rami
crocchiano fragili, parlano. 

E tutt'attorno è un'immensa
caduta rossa di foglie, 

un rosso turbin di foglie.
Io, solo, ritto sul sommo della collina, 

protendo la faccia al vento gelato, 
saluto il sole spettrale.
Godo del sibilo acuto dei rossi sciami, 

e mi creo l'esile donna pensosa della mia mente, 
l'amante che mi comprenda in quest'ora, 
in quest'angoscia, 
che langua con me d'inutile amore 
per questo roseo fulgore
del cielo dietro le siepi, 

le rame e i tronchi dei boschi:
credo sentire sul viso il gelo della sua guancia...
Rabbrividisco; 

mi getto pel bosco a corsa, 
gemendo,
e annego me col mìo spasimo 

nella pietà di quest'ombra.

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